Il griot

Signore e Signori, Carlo Delle Piane, Edizioni Testepiene,

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Un uomo, due personalità. Tra cinema e quotidiano, tra realtà e fantasia. «Signore e Signori, Carlo Delle Piane», scritto da Massimo Consorti, racconta la storia dell’attore e dell’uomo con tutte le sue complessità. Sullo sfondo, oltre sessant’anni del cinema italiano dal dopoguerra in poi e un quadro dell’Italia così come, in fondo, è ancora oggi.

Massimo Consorti, giornalista e critico cinematografico sambenedettese, e Carlo Delle Piane si conoscono in occasione dell’attribuzione del Premio Miglior interprete di se stesso per il documentario La ballata di un uomo brutto al Bizzarri DocFilmFestdi San Benedetto, nel 2009. Qualche mese dopo, il giorno di Natale, il giornalista riceve una telefonata e Carlo gli chiede di scrivere la sua storia. Inizia l’avventura di «Signore e Signori, Carlo Delle Piane», edita da Testepiene, una biografia particolare e interessante, che assomiglia un po’ a un romanzo e un po’ al copione di un film. Si lascia leggere con piacere, accompagnata dal gusto di scoprire, tra un aneddoto divertente, le sconfitte e le rivincite e i nomi cari agli appassionati di cinema, un attore protagonista di tanta parte della nostra cultura cinematografica e non solo.
Ne parliamo con l’autore Massimo Consorti.

Leggendo la prefazione, si capisce che Carlo Delle Piane è un personaggio complesso. La difficoltà maggiore nello scrivere questo libro?

«Sicuramente entrare nel rapporto sia professionale sia personale con Carlo. Avere accesso al suo mondo. È una persona riservata fino alla reticenza. È un muro. Parla volentieri del suo cinema, ma quando si tocca la vita privata si chiude. Eppure capire un po’ l’uomo è stato fondamentale per comprendere l’attore Delle Piane. Anche dei personaggi che ruotano intorno a lui, ho cercato di cogliere gli aspetti umani oltre a quelli professionali.»

Come è riuscito a oltrepassare questo muro?
«Mentre parlavamo di “Una gita scolastica“, ho buttato là una domanda sulla madre. I ricordi si sono sbloccati. È venuta fuori, per esempio, che è lei l’origine di quelle manie che hanno inciso anche sulla sua carriera, sia in modo positivo sia negativo. La paura del contatto fisico si manifesta dopo il coma, seguito a un incidente d’auto nell’estate del ‘73. Quando Carlo si sveglia, inizia a tracciare un confine, materiale o ideale, con ciò che lo circonda. Un distacco.»

Il ricordo dei primi inconsapevoli passi nel cinema?
«Sicuramente è legato alla scuola. Carlo era un discolo affezionato all’ultimo banco. Un giorno arrivano dei signori in aula, lo chiamano insieme ad altri compagni. Dopo l’iniziale terrore di un’interrogazione, scopre che stanno cercando dei bambini per un film. Inizia la storia dell’attore Carlo. L’audizione a Cinecittà e il primo ruolo nei panni di Garoffi in “Cuore” di Duilio Coletti, insieme al grande Vittorio De Sica.»

Qual è il momento cruciale nella carriera di Delle Piane?
«Nel ’76, subito dopo la guarigione dal coma, vive un grande momento di difficoltà. Dal 1948 fino all’inizio degli anni settanta, Carlo era stato un caratterista in film d’autore, con registi come Vittorio de Sica e Mario Monicelli.  Ma il cinema stava cambiando. Dopo i musicarelli, in cui lo spessore del copione era legato ai testi delle canzoni in voga, gli anni settanta inaugurano la stagione degli erotici. Carlo, non si riconosce più nei ruoli che gli vengono proposti. A 40 anni, però, si ritrova senza scrittura.»

Come si risolve la crisi?
«La svolta è l’incontro e l’amicizia con Antonio Avati, che lo presenta al fratello Pupi, in cerca di un coprotagonista per Tutti defunti… tranne i morti. Antonio propone Delle Piane. Dopo l’iniziale rifiuto del regista, per preconcetto verso gli ultimi ruoli, la parte è di Carlo. Entra nel gruppo Avati e fa del mestiere un’arte. Interpreta film come “Jazz Band” e “Cinema!!!”. In “Una gita scolastica”, il ruolo del professor Balla gli fu disegnato su misura prendendo a prestito le sue personali debolezze. Secondo Pupi Avati è il film della vita di Carlo, secondo l’attore, nella pellicola c’è una delle più belle inquadrature della sua carriera. Regalo di Natale, poi, è il momento della consacrazione, con il Leone d’Oro a Venezia come miglior interprete.»

La caratteristica più interessante del Carlo Delle Piane attore?

«La grandissima capacità di immedesimazione. Carlo è un autodidatta. Quello che sa lo ha imparato sul set, dai grandi maestri come De Sica, Totò, Alberto Sordi, Aldo Fabrizi. Impara il cinema facendolo e vedendolo. Nel ’68 inizia a frequentare il Politecnico a Roma e rimane affascinato da Buster Keaton: da lui apprende che per fare l’attore bisogna togliere e non aggiungere. La sua versatilità è dovuta proprio alla scarnificazione del personaggio. L’unica cosa che enfatizza è lo sguardo, la sua grande forza. Se penso a Regalo di Natalee alla scena del ristorante in cui c’è la famosa frase: “Scusi, ma lei è una prostituta?”, mi sembra quasi che il suo sguardo sia più eloquente delle parole.»

Cosa l’ha colpita di più dell’uomo Delle Piane?

«La grande sensibilità che, in fondo, si cela dietro alle sue debolezze. Da una parte c’era la vita reale, dall’altra quella fantastica del cinema che gli ha sempre dato la possibilità di recuperare le lacune del quotidiano. Lui vive davvero solo sul set. Una sorta di materializzazione della teoria del doppio, accompagnata dalla convinzione che la sofferenza sia fondamento del bagaglio professionale di un attore. Se risolvesse i suoi problemi nella vita di tutti i giorni non sarebbe più l’attore che è e che stima, con quel pizzico di follia che, secondo lui, è la sua migliore amica. E poi, la sua forza di ricominciare ogni volta che il cinema sembrava essersi dimenticato di lui.»

Rileggendo il frutto di tanti mesi di lavoro, cosa l’ha emozionata di più?

«Il primo capitolo. I ricordi di Carlo legati alle mitragliatrici su Ponte Garibaldi, l’odore di polvere dei rifugi si mescolano alle estati felici ad Atri e al sapore delle ciriole con la ricotta. La fine della guerra e quella pallonata in faccia durante una partita nella squadra del Mastai che gli cambierà letteralmente i connotati e sarà il suo primo biglietto d’ingresso per il cinema. Sembra il copione di un film, non a caso porta il titolo di “Ciak”.»

Cosa significa per un critico e appassionato del cinema, ripercorrere la carriera di un attore come Delle Piane?

«Mi ha permesso, attraverso la sua storia, di ricordare sessant’anni di cinema italiano, come forma d’arte e specchio della società. Gli italiani venivano fuori da una guerra, c’era da ricostruire, la stessa Cinecittà era stata bombardata. Chi andava al cinema voleva ridere o piangere, ma con romanticismo, senza grandi analisi sociologiche. Mentre nel resto del mondo cresceva una coscienza culturale e artistica con risvolti che avrebbero condizionato le generazioni a venire fino ai nostri giorni, in Italia dominavano i miti del festival di San Remo. L’italiano sulla pellicola, e Sordi ne fu il più grande interprete, era il simbolo della dolce vita, tutto donne e abbronzatura integrale, capace di bieche vigliaccherie e di piccoli eroismi fortuiti. Un’Italia che per molti versi (e senza le giustificazioni di quel periodo) è rimasta quella di oggi.»

Concludiamo con l’inizio. Perché ha scelto questo titolo?

«Quando arriva un grande personaggio, come lo presentano? È una frase che fa parte della cultura legata allo spettacolo. Carlo merita un palcoscenico, dove un presentatore, possibilmente in smoking, annuncia: “Signore e Signori, Carlo Delle Piane.»
Allegato al Libro, il  DVD  «Il Bello del Cinema Italiano», per la regia di Giuseppe Aquino.